Gregorio nacque non a Città di Castello, ma più probabilmente ad Acquaviva, una piccola frazione sul confine tra Città di Castello e Cortona, nel 1414, da Ventura e Angela. Morì a Venezia nel 1464.

Per ricostruire la sua vita possediamo, oltre le notizie derivate dai suoi carmi, due testimonianze importanti, ma incomplete, risalenti ai primi decenni del Cinquecento, rispettivamente a circa 50 anni e 70 anni dopo la morte di Gregorio.

1- Una biografia di Gregorio conservata in un'epistola contenuta nel codice Vat. Lat. 6845 della Biblioteca apostolica Vaticana. Il documento è una copia - scorretta e priva di data, mittente e destinatario, - di un originale inviato da Città di Castello a Roma verosimilmente nei primi decenni del Cinquecento, per dare informazioni su di lui; parte dall’infanzia e contiene notizie tratte dai Carmi o tramandate oralmente da pochissime persone, affermando che, a qualche decennio dalla morte dell'umanista, nella sua città, dove era tornato una sola volta, non si sapeva di lui quasi più nulla.

 2- Il profilo biografico di Gregorio nella dedica a Paolo Vitelli premessa dal tifernate Girolamo Cerboni all'edizione dei suoi Carmina, stampata a Città di Castello nel 1538 dai soci Mazzocchi e Gucci; questo testo coincide alla lettera in vari passi con l’epistola del codice vaticano, tranne per alcune notizie relative alla famiglia di Gregorio e alla sua origine.

         L’epistola biografica del cod. Vat. Lat. 6845 fissa l'origine dei genitori, di umili origini, ad Acquaviva[1], una piccola frazione sul confine tra Città di Castello e Cortona. Il padre, avendo tradito il marchese Guido di Civitella, consegnandolo alla rivale Città di Castello (1416), ricevette come premio, il 21 marzo 1417, la civilitas tifernate per sé e per i discendenti, una casa in città e una pensione a vita: da questa data anche Gregorio poté chiamarsi Gregorio Tifernate: aveva allora circa tre anni. Così la famiglia si era trasferita a Città di Castello. Dopo poco tempo il padre morì giustiziato dai fiorentini. Dei tre figli, Ercolano rimase a C. di Castello, e fu un cittadino benestante e onesto; Gregorio e Iacopo, invece, appassionati per gli studi letterari, in contrasto con la madre e il fratello, sarebbero fuggiti di nascosto a Perugia per studiare. Entrambi si dedicarono anche alla medicina; Iacopo si sarebbe poi stabilito a Rimini, come medico rinomato.  Di Gregorio, invece, l’ignoto biografo mostra di conoscere solo i Carmi; non ne conosce le traduzioni dal greco, né coglie la sua eccezionalità di umanista eruditissimo, ma sottolinea che fu acceptissimus, bene accolto dai principi mecenati del tempo e in contatto con alcuni tra i migliori letterati coevi.

Con l’epistola del cod. Vat. Lat. 6845 coincide alla lettera in vari passi il profilo biografico di Gregorio contenuto nell’epistola dedicatoria premessa da Girolamo Cerboni all’edizione dei suoi Carmi stampata a Città di Castello nel 1538; è certo dunque che la conobbe e la utilizzò. Tuttavia egli non parla della famiglia, né dell’infanzia di Gregorio: lo ritiene Tiferno oriundus, honestis et probis parentibus genitus.

Ursula Jaitner Hahner, in “Quoniam eius memoria fere interiit[2], ipotizza, attraverso una analisi rigorosa e accurata dei due testi, che l’autore della epistola vaticana del cod. Vat. Lat. 6845 sia proprio Gerolamo Cerboni, e il destinatario sia Angelo Colocci, curiale segretario di Leone X, studioso di autori umanistici, che si era rivolto al dotto patrizio tifernate per avere informazioni su Gregorio. Scritte a distanza di circa 20 anni e con finalità diverse, le due fonti dunque avrebbero uno stesso autore.

Ser Gerolamo Cerboni notaio prestigioso, di antica famiglia patrizia tifernate, facoltoso e influente, impegnato nella vita politica di Città di Castello, era anche uomo letterato, conosceva le opere di umanisti famosi, possedeva le prime stampe di autori latini o traduzioni latine di autori greci; possedeva certamente la precedente edizione veneziana del 1498 dei Carmi di Gregorio, da cui aveva tratto le informazioni sulla sua vita. Quando, nel 1538, giunsero per la prima volta a Città di Castello gli stampatori itineranti Antonio Mazzocchi e Niccolò Gucci da Cortona, per la pubblicazione degli Statuti, egli, che aveva presieduto la commissione di tre giuristi per la loro revisione e modifica, decise di curare e far stampare a sue spese due opere letterarie adatte a dar lustro alla sua città: l’opera storica De obsidione Tiphernatum di Roberto Orsi da Rimini (nel 1474 vicepodestà a Città di Castello e testimone dell’assedio), che dedicò ad Alessandro Vitelli nipote di Niccolò Vitelli  pater patriae, e i  Carmina di Gregorio Tifernate dedicati a Paolo Vitelli, figlio di Niccolò II, nipote di Alessandro e pronipote di Niccolò. Il fine da lui dichiarato - “ut civis nostri memoriam pene obliteratam renovaremus”- non è tuttavia questo, bensì quello di distinguersi, utilizzando un mezzo moderno quale la stampa, davanti ad un personaggio membro della famiglia locale più in vista. Gregorio doveva quindi essere presentato nel modo migliore. Ciò spiega perché è qui è affermata la sua nascita a Tiferno ed è omessa – dice Ursula Jaitner Hahner - la triste situazione della sua famiglia di origine.

Da queste fonti, da notizie tratte dai suoi Carmi, e da altre testimonianze indirette, si indicano, con le necessarie approssimazioni, le tappe della sua vita.

- Dopo la sua formazione a Perugia, dal 1437 fu per alcuni anni in Grecia, nel Peloponneso, dove seguì le lezioni di Giorgio Gemisto Pletone, e forse a Costantinopoli (ha visto l’Eurota e l’Ellesponto, Ad Pium). Lì conobbe forse Lilio Libelli, l’altro importante umanista tifernate, che nel 1440-41 era stato in Grecia come segretario e collaboratore del cardinale Bessarione.

- Tornato in Italia, fu a Napoli, insieme a Lorenzo Valla (di cui apprezzò De falso credita et ementita Constantini donatione, 1440)), il quale sottolineò la sua perfetta conoscenza del greco, la sua passione per i codici, la sua attività di medico, la sua amicizia con Antonio Beccadelli detto il Panormita. Nel 1448 il re Alfonso V d'Aragona assegnava a Gregorio 300 ducati annui di stipendio per la sua "graecarum et latinarum litterarum cognitionem summamque in disciplinis eruditionem et propter eius erga nos officia tum domi, tum belli nobis praestita". A Napoli fu precettore di Giovanni Pontano, giuntovi adolescente nel 1447.

-  All’inizio del 1453 Gregorio si trasferì a Roma e su commissione di Niccolò V, che stava preparando la crociata che avrebbe dovuto restituire alla Grecia la libertà perduta (ma purtroppo Costantinopoli cadde in mano ai Turchi il 29 maggio 1453), tradusse l’Etica a Nicomaco e l’Etica a Eudemo di Aristotele, la Metafisica di Teofrasto dedicata al pontefice, e altri trattatelli (De piscibus in sicco degentibus, De vertigine, De natura ignis). A Niccolò V dedicò anche la traduzione del De regno di Dione Crisostomo, ritenuta utile per un governante; ancora su commissione del pontefice iniziò la traduzione dei libri XI-XVII della Geografia di Strabone (i libri I-X erano stati assegnati da tradurre a Guarino Veronese). È attribuita a lui una lettera scritta per Niccolò V in risposta a Maometto II: dunque conosceva anche l’arabo.

- Alla morte di Niccolò V (1455), non contento del nuovo Pontefice Callisto III, (Ad Pium), dopo un breve soggiorno a Venezia, si trasferì a Milano; lì ebbe da Francesco Sforza una nomina per l’insegnamento, pur continuando la sua attività di traduttore. La traduzione completa della Geografia di Strabone fu pubblicata per la prima volta a Roma nel 1456.

-Nell'autunno del 1456 Gregorio lasciò Milano per la Francia (Ad Pium). Spetta a lui la reintroduzione dell'insegnamento universitario del greco alla Sorbona. In effetti il 19 genn. 1458 fu incaricato di un corso di greco la mattina e di uno di retorica latina la sera, e commentò anche poeti latini. Il suo stipendio era di 100 scudi l'anno con il divieto di ricevere soldi dagli studenti. Era chiamato “maistre Gregoire Tiffern, du païs de Grece”, e forse appariva un esule greco. Ebbe come allievo Robert Gaguin, il quale poi, docente alla Sorbona, ebbe come allievi  Erasmo da Rotterdam e Johannes Reuchlin, caposcuola dell’umanesimo tedesco.

- Dopo tre anni lasciò la Francia e andò a Venezia (1460), da dove sperava, con l’aiuto di Francesco Filelfo, umanista e maestro di eloquenza allora a Padova, di tornare a Milano presso gli Sforza.

- Andò invece a Mantova, accolto da Ludovico Gonzaga su raccomandazione di Pio II. Qui insegnò ed ebbe allievi quali Giorgio Merula, già allievo di Filelfo a Milano, contribuendo a consolidare le di lui  già notevoli competenze nelle lingue e nelle letterature classiche. Fu anche precettore eccellente, ma rigido, dei figli dei marchesi. Per il capodanno 1461 compose un’ode saffica per il Gonzaga, un epitaffio per Palla Strozzi, morto a Padova nel 1462.  Scrisse inoltre delle orazioni, fra cui, per il marchese Ludovico, De astrologia.

- Nel 1462 fu di passaggio a Ferrara (Epitaphium Iacobi Barbi).

- Poi si fermò a Venezia, dove insegnò, privatamente presso i Corner, e pubblicamente. Nel 1464, pochi giorni prima della morte, scrisse l’elegia Vaticinium cladis Italiae, in cui rivolge un severo monito al pontefice e ai sovrani europei perché pongano fine alle discordie civili per opporsi all'avanzata minacciosa dei Turchi. Secondo la biografia vaticana e il Cerboni Gregorio morì a Venezia, "non sine veneni suspitione" ad opera di emuli e invidiosi, a cinquant'anni compiuti o poco meno, dunque verso la fine del 1464.     

Dalla lettura dei Carmi emerge il filellenismo di Gregorio, la convinzione della origine greca di ogni ramo del sapere, della sua unità e dei rapporti reciproci tra le scienze. Emerge la sua profonda religiosità, espressa con metafore e immagini classiche; l’altissima dignità del letterato e della poesia; infine in alcuni epitaffi il dolore composto per la perdita di persone care e, più in generale, la coscienza della fragilità di ogni esistenza terrena.                                                 

Manca ancora uno studio adeguato della sua biografia, della sua recezione a Città di Castello, anche in relazione alla produzione letteraria cinquecentesca e al mecenatismo dei Vitelli; del suo impegno didattico e di traduttore; e infine una edizione critica dei Carmina.

Fino ad ora per altro non esisteva una edizione moderna, (né tantomeno una traduzione) dei Carmina, i quali pur erano circolati, manoscritti e a stampa, anche in Europa[3]. Questa edizione, filologicamente rigorosa, con traduzione a fronte, vuole riportare alla luce e far conoscere anche ai tifernati di oggi questo dotto poeta umanista, che, - nonostante il suo amore per Tifernum, tanto da assumerne il nome e renderlo noto dovunque fosse stato, testimoniando il suo talento e la sua cultura - a suo tempo ebbe fama più in Italia e in Europa che nella sua città, nella quale non riuscì a radicarsi (anche allora, un cervello in fuga, dunque!), affinché la sua memoria e la sua opera non siano davvero dimenticate.


[1] Cfr. il cortonese Gerolamo Mancini, Gregorio Tifernate, in “Archivio storico italiano”, LXXXI, 1923, pp.65-112. Cfr. anche Ascanio Torrioli, Gregorio Tifernate, Urbino, 1927.

[2] Ursula Jaitner Hahner, “Quoniam eius memoria fere interiit”. Contributi alla ricezione dell’umanista Gregorio Tifernate (ca.1443-1464), in “Archivum mentis”, III (2014), pp.171-215; ma cfr. anche Stefano Pagliaroli, Gregorio da Città di Castello, in Dizionario Biografico degli Italiani, LIX, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2002, pp.260-265.

[3] [3] Una raccolta di trentacinque componimenti fu stampata la prima volta a Venezia nel 1472, insieme ad altri autori, da Bartolomeo Girardino (editio princeps). Una nuova edizione degli stessi trentacinque carmi nel medesimo ordine pubblicò nel 1498 a Venezia, con opere di altri autori, Bernardino Vitali, con il titolo di Opuscula, e da questa solitamente si citano le sue poesie. Ripetono questa edizione veneziana la ristampa, nel 1509 a Strasburgo, di Matthias Schürer, anch'essa con altri autori (vedi Nota al testo, a p.133), e infine l’edizione, rarissima, curata da Gerolamo Cerboni, stampata a Città di Castello dai soci Mazzocchi e Gucci nel 1538, con i soli carmi di Gregorio

 

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